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Animali non Umani e Benessere

Vivere in relazione con un animale è innegabilmente fonte di benessere per il proprietario. Già partendo da questo presupposto si comprende quanto l’animale possa essere un agente evolutivo e di cambiamento per le persone che lo vivono e con le quali si relaziona.

Certo non basta questo per parlare di aspetto terapeutico, ma questo dato di fatto è fondamentale per iniziare a parlare dell’efficacia della relazione mediata dall’animale nella relazione d’aiuto, di supporto, orientata al benessere.

 

Un po' di storia...

Facendo un brevissimo excursus storico emerge che l’impiego di animali (e più in generale della natura) con uno scopo terapeutico risale addirittura al medioevo, dove attraverso la presa di cura degli animali domestici, il lavoro agricolo aveva la funzione di normalizzare lo stile di vita per persone che vivevano momenti di difficoltà. La cura dell’animale allora non aveva ancora dimostrato le potenzialità che racchiude, ma il lavoro a contatto con gli animali di corte nelle fattorie permettevano di creare un lavoro socialmente accettabile.

 

Dovranno passare moltissimi anni, siamo nel 1867 quando accanto ad esperienze sporadiche come quelle sopra descritte, il ruolo fondamentale dell’animale viene riconosciuto e l’istituzione di Bethel inizia ad affiancare l’animale al trattamento con persone epilettiche, finalmente si inizia a comprendere il beneficio dell’interazione animale umano-animale non umano.

 

Siamo nel primo ventennio del 1900 quando moltissime istituzioni che si occupano di veterani di guerra iniziano ad introdurre l’attività con l’animale in un programma riabilitativo, si inizia ad avere la percezione sempre più radicata della potenza di questa relazione ma ancora manca scientificità.

Forse pochi sanno che Sigmund Freud, padre fondatore della psicanalisi, con un’ottica di setting terapeutico molto pulito ed ordinato, quasi asettico, dal 1930 al 1937 permise al suo cane Jo-Fi (razza chow chow) di presenziare alle sue sedute di psicanalisi con i suoi pazienti.

Seguono tutta una serie di studi sul lavoro con gli animali con bimbi e soggetti in età evolutiva, soprattutto nelle fattorie e un grande traguardo si raggiunge nel 1944 quando James Bossard pubblica l’articolo “The Mental Hygiene of owning a dog”, dove si inizia a fare luce sull’efficacia della vita con i cani per persone con problemi psichiatrici.

 

Siamo a metà degli anni ’50, precisamente nel 1953 quando lo psichiatra infantile Boris Levinson per errore lasciò il cane in studio e si accorse che il suo giovane paziente mutacico, alla vista del cane iniziò ad interagire. Ecco che finalmente si inizia a parlare di Pet Therapy e l’animale viene finalmente considerato come veicolo per il cambiamento, con valore positivo.

 

Da quel momento ad oggi l’attenzione della comunità scientifica sulla relazione terapeutica Animale Umano-animale non Umano ha mostrato attraverso studi clinici e progetti di ricerca l’importanza di questo approccio.

Ci sono diverse scuole di pensiero e diverse modalità di conduzione degli incontri di relazione mediata dall’animale, che assumono caratteristiche diverse e si rifanno a scuole di pensiero alternative, il punto in comune è certamente la presenza dell’animale, la differenza sta nella finalità della presenza dell’umano (ad esempio Interventi Assistiti dall’Animale e Consulenza Relazionale B.A.U.)

 

Consulenza Relazionale B.A.U.©

Il nostro approccio prevede la visione di ciascuna specie animale come potenzialmente terapeutica, purchè risponda a delle caratteristiche di specie ma soprattutto individuali e soprattutto purchè l’animale impiegato sia profondamente rispettato sul piano etologico, fisiologico ed educativo e risulta fondamentale la relazione tra professionista e protagonista, che deve rispondere a caratteristiche determinate e che si rifanno ad una rigida base scientifica.

 

In un tempo e spazio in cui il progresso ha preso il sopravvento, dove non è mai il momento giusto per fermarsi a contattare corpo ed emozioni, gli animali non umani hanno assunto un ruolo sempre più importante e trasformativo. Ci riportano alla saggezza di ciò che sentiamo, al desiderio di contatto, di scambio, di Presenza costante e Autentica.

 

Forse per questo, oggi più che mai, la relazione con l’animale non umano ha assunto una connotazione sempre più importante e terapeutica per la persona coinvolta.

 

Proviamo allora a andare un po’ più in profondità e ad analizzare quali sono le caratteristiche dell’animale che lo rendono così importante e terapeutico per l’essere umano.

 

Un animale certamente è congruente, in psicologia si usa questo termine per definire una caratteristica di allineamento tra ciò che si sente e ciò che si espone, anche nella modalità. Ad esempio, quante volte ci capita di provare un’emozione di rabbia e di bloccare la sua libera espressione perché ci freniamo, perché temiamo che magari questa emozione sia negativa? E quindi reagiamo con un sorriso o ci allontaniamo o ancora restiamo pietrificati mentre dentro, a livello di pancia sentiamo un vulcano che erutta? Ecco, quanto spesso si può dire la stessa cosa di un cane, di un gatto, di una capretta, di un asino o di qualsiasi animale? Un animale manifesta sempre ciò che sente autenticamente. Per riflesso vivere una relazione dove l’animale si permette di essere se stesso, è un punto di evoluzione anche per l’umano.

 

Altra caratteristica fondamentale dell’animale, che in relazione mediata assume un altissimo valore terapeutico è il non giudizio, spesso ci troviamo in incontri con persone con disabilità grave, o ancora con decadimenti cognitivi importanti, piuttosto che con persone detenute in carcere o in percorsi di accompagnamento al fine di vita in hospice, ecco che umanamente siamo portati a paragonare il nostro protagonista a ciò che è stato, o se non abbiamo fatto un buon lavoro di pulizia interiore personale (che è fondamentale per qualsiasi professione d’aiuto), siamo portati a giudicare la persona che abbiamo di fronte, o potremmo provare una sensazione per una persona con forte compromissione che ci porta ad essere pietosi (il tipico pensiero “poverino, mi fa pena”), la persona di fronte a noi non ha bisogno di pietà, né che gli altri intorno a lui provino pena, ha bisogno di solidità, autenticità, e l’animale è in grado di offrirla in maniera trasparente, ribaltando la relazione, che non è più uno spazio e un tempo in cui il protagonista riceve e basta, ma diventa uno scambio, un intreccio relazionale, dove tutti possono contribuire al loro massimo per fare la differenza, in un ambiente libero dal pregiudizio.