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BAU in Casa Circondariale: un'esperienza di Vita

Il bisogno di relazione, di creare legàmi è il bisogno primario di ciascun essere vivente (animale umano o non umano). Il legàme che si instaura con l’animale e che la presenza dell’animale permette di tessere tra gli umani coinvolti è una relazione che ha alla sua base tre aspetti fondamentali: ACCOGLIENZA, NON GIUDIZIO e ACCETTAZIONE, che non a caso sono i punti cardine della psicologia umanistica. 

 

Da “Légami” a “Legàmi” la differenza fonetica è molto semplice, ma la differenza di significati apre a riflessioni che sono molto evocativi. I cani, in questo percorso presso la casa circondariale, si sono relazionati con un gruppo di persone detenute. 

 

Ecco il primo punto da sottolineare. Per i cani, per gli animali in generale, le persone con cui si sono relazionate sono semplicemente persone, l’aggettivo detenute non fa differenza per l’animale non umano. Ecco quindi che la relazione che va ad instaurarsi tra animale umano e animale non umano ha la prima caratteristica fondante perché il legame sia saldo e basato su solide fondamenta: il non giudizio. 

 

Pensate per un attimo a quanto il giudizio sia una condizione vissuta in maniera forte dai detenuti. Peraltro, avendoli vissuti da vicino, non è solo il giudizio esterno, della società a gravare sulle loro spalle, ma anche e soprattutto il giudizio interno. L’Animale non Umano, con la sua sola presenza, spezza questa catena di giudizio interno ed esterno, alleggerendo la sensazione degli animali umani che vivono l’esperienza.

 

Perché l’idea di proporre ad un gruppo di persone che vivono l’esperienza in casa circondariale di vivere momenti di relazione mediata con i cani? Lo chiediamo direttamente alla dottoressa Stefania Mussio, direttrice della casa circondariale che ha visto lo svolgimento del percorso “Legàmi” svolgersi. Ecco cosa ci racconta:

Nella mia esperienza di direttore di un istituto penitenziario posso confermare come le persone ristrette abbiano bisogno di essere educati e consapevoli della necessità di vivere nel rispetto reciproco e delle leggi. Per fare questo, però, dovrebbero iniziare a prendersi cura di sé e a prendersi cura dell’altro. L’approccio con un animale permette di occuparsi di qualcuno che ha dei bisogni, dei sentimenti, una grande carica d’affetto che dipendono e si manifestano nella relazione con  chi decide di farsene carico. L’affetto incondizionato poi di un animale dovrebbe consentire di capire quanto il bene non abbia misura e sia solo una questione di “dare”. E’ un approccio che dovrebbe essere istintivo ma misurato insieme. Un accostarsi ad un altro essere senziente rispettandone tempi e richieste. Permette di osservarsi, odorarsi, sentirsi, insomma permette di attivare tutti i sensi e la loro importanza: c’è una grande necessità di riscoprirsi e attraverso la percezione di sé in maniera positiva e costruttiva, si può ipotizzare di costruire per qualcun altro e di affezionarsi.

 

 

Ci sono dei cambiamenti che ha notato nelle persone coinvolte nel progetto “Legàmi” nel percorso? Se sì, quali?  

Non so se sono cambiamenti perché l’essere umano è molto complicato: quello che si percepisce è intanto il desiderio di incontrare nuovamente l’animale e questo è molto positivo. Attendere qualcuno e attenderlo con entusiasmo fa bene e migliora la qualità della giornata, spesso nel carcere fatta di ripetitività, vuoti e non confortanti notizie. Le persone coinvolte nel progetto hanno potuto imparare. Hanno ascoltato i conduttori, hanno ascoltato gli animali e hanno saputo interiorizzare aspetti di conoscenza importanti, costruttivi, educativi.

 

Le case circondariali dove lei ha assunto nel tempo ruolo di direttore sono già abituati alla presenza dell’animale per la struttura, dato che il suo prezioso collega Martini (cane di razza shitzu, ndr) la accompagna sempre nel suo mandato professionale. Ha notato una differenza anche negli addetti di polizia penitenziaria nel vivere, nella quotidianità della casa circondariale, la presenza di animali?

Ho potuto nella mia esperienza lavorativa attivare progetti che hanno coinvolto gli animali, i cani in particolare, nei diversi istituti dove ho lavorato e dove come direttore ho voluto intraprendere quelle esperienze. A Voghera insieme all’Enpa ho aperto tre cucce per un ricovero interno di cani del canile comunale, in carico alle persone detenute. A Lodi ho attivato per 5 anni un progetto con due sorelle labrador che vivevano insieme alle persone detenute che si facevano carico all’interno e all’esterno dell’istituto della loro cura. A Sondrio ho attivato il progetto di Consulenza Relazionale B.A.U. e ho permesso alle persone detenute di svolgere colloqui con i loro piccoli amici, perché parte della famiglia e dunque aventi pieno diritto al “colloquio famigliari”, adottando come è naturale che sia, tutti gli opportuni accorgimenti e cautele. In questo è stato per me naturale recarmi al lavoro con il mio piccolo Martini, un delizioso shitzu molto mite e carino. E’ sempre stato apprezzato da tutti: poliziotti, operatori e persone detenute. Ricordo un piacevole episodio: ero in un servizio di missione all’istituto di Como e Martini era con me. Alcuni poliziotti si sono avvicinati e mi hanno fatto un gradevole quanto inaspettato regalo: una divisa in miniatura, con i gradi, che era stata indossata da una meticcia fino a qualche anno prima mascotte del carcere comasco. Un piccolo cappottino fatto da loro, per un animale oramai scomparso, che hanno donato in segno affettuoso al piccolo Martini che ovviamente l’ha indossato con grande dignità. Ho sempre permesso anche ai dipendenti di recarsi al lavoro con il loro amico, quando richiestomi, purché nel rispetto altrui e del benessere dell’animale (se qualcuno volesse approfondire può leggere nel volume “Salvati con nome” edito Giappichelli – 2018 – il mio contributo “Dalla cura dei cani alla produzione della pasta – Cammini di integrazione”).

 

E’ faticoso, in un ambiente austero come quello che ci si aspetta di trovare nelle case circondariali, proporre progetti e percorsi così alternativi, come quello che preveda la relazione mediata dall’animale?

Si, senza troppi giri di parole, si. E’ la fatica del cambiamento. Quella di percorrere un nuovo stile di lavoro, inclusivo, rispettoso, ma anche tanto creativo e innovativo. 

Incoraggio i miei collaboratori a osare, a intraprendere progetti difficili ma dalle grandi soddisfazioni emotive e professionali. La sicurezza sociale passa anche attraverso questo modo di lavorare: accompagnare la pena con momenti costruttivi, vivi e riparativi. E’ indispensabile condividere con i propri collaboratori un modo di lavorare che definirei audace. E ricordarsi sempre che se si ottengono buoni risultati sono il frutto del lavoro tenace di tutti.

 

Quale è il valore aggiunto della presenza dell’animale mediata da professionisti in casa circondariale?

Il professionista ha in se la competenza e la capacità di trasmetterla. In un percorso educativo è importante non improvvisarsi maestri e tuttologi. Chi è preparato e conosce il giusto approccio con l’animale ha il dovere di trasmetterlo con professionalità e chi ascolta ha altrettanto dovere di affidarsi e imparare. 

Nel carcere, come altrove il progetto con gli amici animali dovrebbe porre tutti sullo stesso piano: il piano della conoscenza reciproca, dell’attenzione al bisogno, della capacità di ascoltarsi, della necessità di stare bene.

Desideriamo ringraziare di vero cuore la dottoressa Mussio per la competenza e l'estrema cura con la quale opera ogni singolo giorno.

 

Oltre a lei non possiamo esimerci da un ringraziamento speciale al piccolo Martini, un concentrato di energia e di empatia, che accompagna la direttrice nel suo lavoro e nella sua vita ogni singolo giorno.

Grazie!

dott.ssa stefania mussio

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